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15 Maggio 2020Confermato il diritto all’assegno per l’ex coniuge non economicamente indipendente o autosufficiente.
Il Tribunale di Milano (sentenza n. 9868/2017) ha riconosciuto il diritto all'assegno divorzile nei confronti della ex moglie ormai in età avanzata per trovare un'occupazione, avendo ella lasciato la sua posizione lavorativa diversi anni prima della fine del matrimonio per occuparsi della famiglia.
Tale recente pronuncia applica consolidati principi della giurisprudenza di legittimità, tra cui la recente sentenza n. 11504/2017 con la quale, in particolare, è stato abbandonato il tenore di vita antecedente alla fine del matrimonio quale criterio cardine per il riconoscimento e l’ammontare dell’assegno di mantenimento.
In adesione ai principi sanciti dalla Cassazione, infatti, occorre in via preliminare verificare la sussistenza dei presupposti per riconoscere il diritto all’assegno, consistenti nella “indipendenza o autosufficienza economica” dell’ex coniuge richiedente l’assegno.
Tale valutazione deve essere effettuata sulla base di 4 principi:
1) il possesso di redditi di qualsiasi specie;
2) il possesso di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, tenuto conto di tutti gli oneri ‘lato sensu’ imposti e del costo della vita nel luogo di residenza, inteso come dimora abituale, della persona che richiede l’assegno;
3) le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale, in relazione alla salute, all’età, al sesso ed al mercato del lavoro indipendente o autonomo;
4) la stabile disponibilità di una casa di abitazione.
Secondo la Cassazione, sta all’ex coniuge che richiede l’assegno dimostrare “di non avere i mezzi adeguati e di non poterseli procurare per ragioni obiettive”.
Una volta verificata la sussistenza del diritto, sulla base dei parametri sopra enunciati, può procedersi alla quantificazione dell’assegno, con una valutazione rapportata non al tenore di vita condotto in costanza di matrimonio ma a quanto adeguato a consentire al richiedente l’assegno un'esistenza libera e dignitosa.
I giudici di Milano hanno evidenziato che nel caso di specie sussistono i presupposti per riconoscere l'assegno divorzile alla convenuta poiché, tenuto conto dei complessivi indici rappresentati dalla Cassazione, la donna non può ritenersi indipendente economicamente.
La signora non ha, infatti, una fonte di reddito propria, se non l'assegno di mantenimento del marito, come documentato dalle dichiarazioni fiscali agli atti, né è titolare di cespiti immobiliari e di mezzi adeguati ed ha, inoltre, un'età (anni 54) che non le consente di reperire un'occupazione, tenuto conto delle condizioni del mercato del lavoro dal quale è uscita da oltre vent'anni, avendo smesso di lavorare dopo la nascita della seconda figlia per occuparsi della famiglia, scelta condivisa da entrambi i coniugi.
Riconosciuto il diritto, il Tribunale ha confermato la quantificazione dell'assegno divorzile nella misura già stabilita in sede di merito (2.500 euro mensili), sebbene la donna ne chiedesse il raddoppio mentre il marito ne chiedeva la riduzione, in quanto ritenuta adeguata a consentire alla donna un'esistenza libera e dignitosa, tenuto conto, da un lato, dei risparmi di cui la stessa ancora dispone e, dall'altro, della diversa incidenza fiscale per le parti, nonché giustificata dalla capacità reddituale del marito (ex direttore generale di banca) che, pur ridimensionata rispetto al passato, continua ad essere in ogni caso significativa avendo questi continuato a svolgere attività libero professionale ed essendo lui proprietario della ex casa coniugale.
Il Tribunale ha inoltre tenuto conto del contributo personale dato dalla moglie alla conduzione familiare, essendosi ella dedicata alla crescita dei figli e alla famiglia e stante la significativa durata del matrimonio tra i due (22 anni).
Se è quindi indubbio che non è più il tenore di vita in costanza di matrimonio il criterio cardine cui far riferimento nello stabilire il diritto ed il conseguente ammontare dell’assegno, è altrettanto indubbio che permane tutt’ora il diritto all’assegno in capo al coniuge economicamente più debole, e che lo stesso non può avere natura meramente alimentare.
Esso, infatti, deve comunque consentire al coniuge avente diritto di condurre una vita indipendente e dignitosa.
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